mercoledì 7 gennaio 2009

Pensieri e parole (1)
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"Davanti al guru fatti canguro"

Redenzione senza conversione: un mito tecnicizzato
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di Valter Binaghi
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La situazione storica in cui ci troviamo oggi in occidente presenta agli occhi dei più i caratteri dell’aberrazione diffusa, cioè di un ordine socio-economico insoddisfacente ma di cui nessuno sembra tirare le fila, di una cultura piena di miti degradanti a cui i soggetti sembrano incapaci di resistere, di una solitudine dell’individuo nella folla che le isteriche esibizioni dei singoli non fanno che accentuare. In questo contesto, il bisogno vero e profondo che l’uomo manifesta è quello della redenzione, ed è qui che cominceranno il loro lavoro il pedagogo, cioè chi vuole aiutare l’uomo a ritrovare sè stesso, ma purtroppo anche il demagogo, cioè chi vuole manipolarlo ed asservirlo.
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La redenzione e le sue figure storiche
Lonergan definisce la redenzione come “una rottura con il passato, con la manomorta delle sue istituzioni, le mentalità che ha prodotto, i risenti­menti e gli odi di cui esso è la spiegazione”(1)
Mircea Eliade(2) ha mostrato efficacemente come le orge connesse ai rituali preistorici della fertilità, ai culti dionisiaci o ai Saturnalia romani, equivalessero ad una sorta di fuga dal tempo storico, ma anche ad una periodica rigenerazione del cosmo sociale, che ha bisogno ogni tanto di un rimescolamento di carte, il cui carattere rituale garantisce però la continuità con l’ordine tradizionale. E’ facile dimostrare come un atteggiamento del genere sopravviva in età storica in feste come il Carnevale.
Nell’Antico Testamento la redenzione è indisgiungibile dall’immagine della “Nuova Terra”, sia nel caso di Abramo, il padre della fede nel vero Dio, sia nell’Esodo di Israele dall’Egitto che rappresenta precisamente l’uscita dalla schiavitù del peccato. Sappiamo che le scoperte geografiche ebbero finanziatori interessati, ma anche che Cristoforo Colombo era convinto di trovare l’Eden al di là dell’Oceano. Del pari, i Padri Pellegrini sbarcarono sulla costa atlantica dei futuri Stati Uniti d’America fuggendo da una società divenuta ostile e impraticabile, e portando con sè il sogno biblico della Terra Promessa (e sappiamo quanto il fondamento religioso di questa epopea civile abbia segnato profondamente la storia degli USA). La letteratura politica del Rinascimento era già stata del resto potentemente condizionata da questa immagine della “Nuova Terra”, se pensiamo ad opere come Utopia di Thomas More, La città del sole di Tommaso Campanella o La nuova Atlantide di Francesco Bacone. Infine, l’escatologia ebraica è un elemento importante a fondamento del marxismo rivoluzionario, e in generale è difficile separare i movimenti rivoluzionari dal messianismo, come sapeva bene Ernst Bloch.
Il Cristianesimo ha visto in Gesù il Redentore dell’umanità, in un modo ancora diverso: “Que­sta redenzione non fu quello che si aspettava: una trasformazione escatologica di questo mondo, una distruzione totale degli ingiusti ed un millennio di pace e di prosperità per i giusti. La redenzione in Cristo Gesù non cambia il fatto fondamentale del peccato che continua a portare alla sofferenza e alla morte. Però, la sofferenza e la morte che derivano dal peccato ricevono in Cristo Gesù un nuo­vo significato. Essi non sono più il triste, doloroso termine del differenziale del peccato, ma anche il mezzo per la trasfigurazione e la resurrezione”(3). Egli è colui che, avendo vinto il mondo ed essendo risorto dai morti, conduce l’uomo alla pienezza della vita spirituale, non rinnovando il suo tempo o la sua patria ma il suo stesso essere. Questo ha un valore non solo personale, ma è anche un rimedio al peccato come reazione a catena, perpetuazione del disordine sociale: “L’accettazione della sofferenza pone fine, almeno in un punto, alla reazione a catena del peccato che invade completamente una società. Quando tutti cercano di fuggire la sofferenza, quando nessuno l’accetta, il suo peso passa sempre ad un altro”(4).
Dopo Cristo è impossibile pensare seriamente alla redenzione se non nei termini di una conversione personale: ne fa fede la parabola dell’esistenzialismo contemporaneo che, per quanto ateo in molti dei suoi rappresentanti (Heidegger, Sartre) enuclea la differenza tra l’autenticità e l’inautentico separandoli da uno scarto che ha le stesse caratteristiche della conversione spirituale: un mutamento che riguarda non le condizioni ambientali dell’uomo, ma la qualità della sua libertà.
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La redenzione senza conversione: miti tecnicizzati
E’ evidente che le varie forme di pseudo-dionisismo (dalla discoteca al rave), con il contorno più o meno consequenziale di sostanze psicotrope, restituiscono all’adolescente di oggi il mito tecnicizzato dell’orgia primitiva, con effetti liberatori che durano quanto una sbronza e immensi profitti dell’industria dei divertimenti.
Del pari, l’immagine della “Terra Nuova” vive nelle foto patinate dei mari del sud ma anche dei club Mediterranée, e l’epica del soggiorno esotico ritemprante rappresenta uno dei capitoli di spesa ed investimento emotivo più importanti per l’uomo della civiltà dei consumi, ma questo non potrebbe accadere se il tutto non fosse condito dalla speranza di una catarsi che ovviamente le agenzie turistiche sono ben lungi dal poter garantire.
Infine, al posto del rinnovamento interiore (faticosissimo: si tratta niente meno che abbinare una conversione intellettuale, morale e religiosa), c’è l’offerta di corpi nuovi, scolpiti dal body building o dalla cosmetica rassodante in attesa di più drastici interventi chirurgici, che ormai avvengono ben al di sotto della mezza età. Tempo fa mi sono informato per ragioni “letterarie” e ho saputo da un noto chirurgo estetico milanese che uno dei regali più ambiti per il diciottesimo compleanno delle ninfette lombarde è una taglia in più di seno, gentilmente pagata dalla stessa madre compiaciuta. Sic.
Un gradino appena più su, il racket della pace interiore. Ovvero la mistica new age del saltello che scarica, della meditazione che concentra, del tocco che apre i chakra, permettendo a manager e tagliatori di teste con stipendi di giada di ritornare all’ufficio dopo il soggiorno monastico ritemprati e più efficienti di prima.
Personalmente, quando nel ’77 lasciai “Re Nudo”, trasformato dal direttore in bollettino parrocchiale degli “arancioni” di Rajneesh, col mio amico Gianni De Martino (che già suggeriva: “davanti al guru fatti canguro”) decisi che non avrei affidato la mia anima a tali animatori. I quali, tra parentesi, a quel tempo facevano proseliti tra i delusi della pedagogia rivoluzionaria e gli orfani di Marx. Ma questa è un’altra storia.
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Valter Binaghi
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1) Bernard Lonergan, Dell’educazione, Città Nuova Editrice, pag. 106.
2) Mircea Eliade, Il mito dell’eterno ritorno, Borla.
3) Lonergan, Ivi pag. 108.
4) Ivi pag. 110.

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