venerdì 9 gennaio 2009



di Miguel Martinez (Kelebek)

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Pigman è il supereroe creato da un certo Bosch Fawstin di New York, un disegnatore di origine albanese molto apprezzato tra i circoli dei seguaci di Ayn Rand.
Pigman - che deriva il proprio nome dalla nota disaffezione islamica per la carne di maiale - è un'ennesima incarnazione della fantasia maschile tutta contemporanea e occidentale, di un essere per metà umano e per metà macchina, che dice poco e spacca tutto.
Pigman è la metafora di molte cose.
Prima di tutto, è roba di maschi per maschi. Dove la dimensione maschile si riduce all'elemento unilaterale dell'omicidio, in perfetto parallelo alla puttanizzazione in stile Jeune-Fille.
Mentre gli eroi della tradizione europea, mediorientale e forse universale, devono confrontarsi continuamente con la propria morte, Pigman è nel mondo solo per uccidere, non certo per affrontare il proprio destino o scoprire se stesso. In questo, Pigman possiede la natura univoca, infantile delle merci, che si presentano sempre e solo per quanto di gradevole possiedono.
Pigman rovescia e maschera il rapporto reale che esiste tra uomini e macchine all'interno del più grande apparato bellico che la storia umana abbia mai visto: la potenza infinita delle cose si accompagna alla coscienza della propria assoluta impotenza umana. Cosa mai potrebbe fare da solo il disoccupato statunitense così sfortunato da essere costretto ad arruolarsi, contro un ragazzino iracheno pronto a morire?
Pigman divide il mondo in Noi e Loro, come fa una vasta parte della letteratura pop statunitense. Solo che quel Noi e quel Loro non corrispondono al modello etnico o storico europeo. Gli Stati Uniti sono un'idea collettiva a cui gli individui sradicati aderiscono; e dimostrano la loro adesione, uccidendo chi si oppone a quell'idea collettiva. Infatti, Pigman è di origini etnicamente islamiche - come lo stesso Bosch Fawstin, figlio di generazioni di albanesi atei o comunque indifferenti - ma è "americano" in quanto sterminatore di persone che non condividono i "valori americani".
Questa è la grande forza dell'immaginario statunitense, che riesce così a sfruttare tutta la potenza psicologica del razzismo, proprio mentre integra incessantemente nuovi elementi.
Pigman ci fa cogliere un eterno problema della letteratura conforme, che possiamo riassumere nella domanda, che gusto c'è a rubare ai poveri per dare ai ricchi, come faceva lo straordinario Superciuk nei fumetti di Alan Ford? Che avventura è, passare e ripassare sopra un villaggio, con il miglior bombardiere del mondo?
La destra americana risolve da sempre questo dilemma in un unico modo: con la tesi delle Mani Legate. “Pigman does the job politically correct Washington won’t let our soldiers do,” spiega Fawstin.
Noi siamo buoni e loro sono cattivi. E purtroppo la nostra bontà porta il governo a obbedire meticolosamente alle regole.
Ecco che emerge il supereroe, che viola quelle regole - e quindi si mette in qualche modo contro i potenti - per poter fare agli altri quello che serve.
Questa finzione serve a due scopi. L'imperialismo è necessariamente schizofrenico: i massacri e il saccheggio su cui si fonda si nobilitano nella cortesia, nel rispetto delle regole, che permette ai massacratori di sentirsi moralmente superiori. Il sistema così mantiene un'immagine permanentemente gentile, ma ogni tanto diventa necessario esprimere il lato oscuro: una funzione delegata a quella forma di pornografia sadica che sono le opere riguardanti i supereroi, la letteratura di spionaggio e così via.
Ma violare le regole permette al supereroe di emergere per un attimo come individuo e non come ciò che è: l'ennesimo ingranaggio di una macchina di sterminata potenza fisica e infinita miseria spirituale.
Sopra il titolo del post una vignetta di Pigman dedicata all'attacco israeliano contro i nativi palestinesi a Gaza. Vignetta che ci riporta al nostro tema (altre due vignette qui: http://kelebek.splinder.com/post/19530681/Pigman%2C+il+peggio+d%27America ).

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Miguel Martinez (Kelebek)

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