Antonio Saccoccio (tratto da http://liberidallaforma.blogspot.com/ )
mercoledì 14 gennaio 2009
Antonio Saccoccio (tratto da http://liberidallaforma.blogspot.com/ )
martedì 13 gennaio 2009
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In Italia esistono giornalisti “famosi” che pur essendo diventati tali dopo avere scritto libri ed articoli di pesante denuncia del “sistema”, continuano allegramente a fare parte della sua elite, scrivendo sulle pagine dei quotidiani più importanti e comparendo nelle trasmissioni in TV con la stessa frequenza di quanto accade agli uomini politici di grido. Giornalisti che con il loro lavoro di “denuncia” del sistema, prodotto con l’ausilio dei finanziamenti che il sistema stesso ha messo loro a disposizione, sono riusciti a ritagliarsi una posizione di favore all’interno della quale possono godere di grande credibilità presso l’opinione pubblica. Credibilità che una volta conquistata potrà essere da loro capitalizzata rendendo utili favori al “deprecabile” sistema che li nutre e li foraggia.
E’ il caso del buon Gian Antonio Stella, nato nel paese che fu di Eleonora Duse e divenuto più che famoso nel 2007 dopo la pubblicazione del best seller La Casta, al quale ha fatto seguito l’altrettanto mordace La deriva dello scorso anno. Stella, grande estimatore della crescita e dello sviluppo, come si può evincere da molti suoi scritti, ha dedicato una “marchetta” alla casta del gas, quella costituita da ENI, Edison, Enel, Hera, Exxon Mobil, Eon, Gas Natural, Erg, Gaz de France, partorendo un curioso articolo titolato “Il NO ai rigassificatori: bocciano i progetti e stiamo al gelo” che ha trovato pubblicazione sabato scorso sulle pagine del Corriere della Sera.
Nel suo pezzo l’ardimentoso Stella divide gli ambientalisti “buoni” (quelli legati a Legambienteche contestano il nucleare ma apprezzano i rigassificatori e gli inceneritori) da quelli “cattivi” (che si oppongono a tutti gli scempi e le nocività ambientali), dedicando a questi ultimi alcune righe cariche di disappunto ed ironia. Mette alla berlina i livornesi che si battono contro la costruzione del rigassificatore off shore, ironizzando sul rischio derivante da un’eventuale esplosione dell’impianto, arrivando perfino a definirli “ayatollah ecologisti toscani”. Irride gli ambientalisti di Panigaglia, vittime a suo dire dell’effetto “nimby”, contesta i cittadini che si oppongono (senza che lui ne comprenda il perché) al rigassificatore di Brindisi e lancia i propri strali contro coloro (dalla sinistra radicale, a Sgarbi, fino al centrodestra) che stanno impedendo la costruzione del rigassificatore di Porto Empedocle in Sicilia, con giustificazioni di carattere archeologico e paesaggistico che Stella giudica incomprensibili.
Se tanto livore nei confronti degli ambientalisti, quelli non allineati con la lobby del cemento di Ermete Realacci di cui Stella nel pezzo si manifesta estimatore, non può mancare di lasciare basito chiunque conosca appena un poco in profondità le questioni ambientali, ancora più stupore provocano gli argomenti che il giornalista porta a giustificazione del livore stesso.
Stella nel suo articolo tenta infatti d’indurre il lettore a credere che a causa della mancanza dei rigassificatori l’Italia rischi seriamente di rimanere al gelo per mancanza di gas, nel caso di eventuali problemi sulla rete dei gasdotti, arrivando a vaticinare di abitazioni congelate, fabbriche bloccate e trasporti paralizzati. Un quadretto degno dei migliori film “catastrofici” a stelle e strisce, tanto più drammatico in un paese come l’Italia che, a suo dire, avrebbe abbandonato il nucleare, senza imboccare le strade alternative delle energie rinnovabili, all’interno delle quali il buon Stella annovera anche i "Termovalorizzatori" dimostrando in maniera inequivocabile come stia sproloquiando riguardo a cose di cui non ha la benché minima conoscenza.
Pur incorrendo nel rischio di rovinare una bella “marchetta”, credo sia doveroso tranquillizzare gli italiani, riportando il piano del discorso dal fantasy alla realtà. Nonostante sia costretta ad importare dall’estero buona parte del gas che consuma, l’Italia gode infatti di una rete di gasdotti (buona parte dei quali già in fase di potenziamento quando non di costruzione ex novo) in grado di consentirle l’approvvigionamento di quantitativi di gas notevolmente superiori al proprio fabbisogno attuale e futuribile. Basti pensare che è in dirittura di arrivo il potenziamento del gasdotto algerino Ttpc che trasporterà 6,5 miliardi di metri cubi di gas in più l’anno, l’ENI ha già iniziato il potenziamento del gasdotto Tag che trasporta in Austria il metano estratto dai giacimenti siberiani, per consentire il trasporto aggiuntivo di 3,2 miliardi di metri cubi annui. Entro la fine del 2012 la società Galsi s.p.a. della quale fanno parte Edison, Enel ed Hera, dovrebbe terminare la costruzione di una nuova pipeline di 2280 km che via Sardegna trasporterà annualmente 8,5 miliardi di metri cubi di metano aggiuntivo dall’Algeria a Piombino, in Toscana, il cui tratto off shore risulterà il più profondo al mondo raggiungendo la profondità di 2.880 metri. Nel corso del 2013 inoltre dovrebbe essere inaugurato il gasdotto South Stream che attraverso la Grecia trasporterà il gas russo fino in Puglia.
I rigassificatori in progetto e quelli esistenti, Panigaglia e Rovigo costato 2 miliardi di euro e posizionato al largo della foce del PO, tanto cari a Gian Antonio Stella, non serviranno al nostro Paese per sfuggire al destino di una catastrofe incombente fatta di gelo e galaverna. Semplicemente saranno destinati a trasformare l’Italia in una sorta di hub energetico attraverso il quale la “casta” dell’energia a braccetto con quella della politica (che Stella ama fustigare nei suoi best seller) potrà accumulare profitti miliardari, lasciando il conto da pagare ai contribuenti e all’ambiente. Quell’ambiente la cui salute, a dispetto dei giornalisti e delle loro marchette, non si divide fra buoni e cattivi ma continua a rimanere un qualcosa di oggettivo ed incontrovertibile.
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lunedì 12 gennaio 2009
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Però, Flaica-Cub smentisce: dice che il boicottaggio era rivolto solo ai prodotti israeliani. Misura che si può certo non condividere ed anche deprecare (così come approvare). Però proposta con orgoglio da moltissimi per la Cina (sui prodotti ed olimpiadi) ai tempi della repressione in Tibet. E addirittura suggerita da esponenti governativi di Bush per i prodotti francesi al tempo del rifiuto della Francia alla iniziativa USA di invasione dell'Iraq.
Vediamo il loro sito e il comunicato in rete: http://www.cub.it/article/?c=flaica-cub&id=5058
Nei giornali non c'è nessun "giallo". Si dà per scontato che abbiano fatto "marcia indietro". In rete si trova ad esempio un tentativo di documentazione di tale marcia indietro, pubblicando il testo di un volantino che sarebbe stato distribuito da detto sindacato; ad es. "Focus on Israel" : http://www.focusonisrael.org/2009/01/08/flaica-boicottaggio-negozi-ebrei/
Ma a ben pensarci questo volantino non costituisce una prova. Chi può provare che tale volantino sia stato stampato e distribuito effettivamente dal sindacato che lo ha firmato, e non sia invece un falso? Flaica Cub insiste per una smentita a Repubblica http://www.cub.it/article/?c=&id=5057
Per me dunque c'è un giallo: potrebbe essere che il volantino e comunicato aberrante ci sia stato e poi sia stato ritirato per evidente indegnità. Ma potrebbe anche darsi che sia stata una montatura, o un falso. Mi resta il dubbio.
Esame delle probabilità:
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1) probabilità del "comunicato ritirato". Il comunicato relativo al boicottaggio dei negozi degli ebrei e della loro lista contiene qualcosa di innegabilmente repellente alla coscienza comune dell'italiano medio, checchè chiunque possa pensarne; per cui sembra comunque difficile che un sindacato, per quanto marginale, decidesse di proporre una misura così aberrante. Può comunque esserci l'incidente: un funzionario idiota e razzista che prepara un volantino non controllato e lo fa distribuire, sputtanando il suo sindacato ed ottenendo l'effetto contrario a quello che avrebbe voluto. La reazione, che mi pare un po' fiacca del "Flaica" (nome fiacchino pure lui) può dare indicazione di favore alla tesi dell'errore (grave).
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2) probabilità del "comunicato contraffatto". Nota la proposta della Flaica del boicottaggio dei prodotti israeliani, viene preparato un testo per confondere questo boicottaggio con la misura repellente e razzista del boicottaggio dei negozi degli ebrei. Questo consente sia di sputtanare e mettere in luce sinistra, oltre al sindacato in questione, chi ha proposto il boicottaggio dei prodotti israeliani in genere, sia di alleggerire, agitando lo spettro del razzismo, la situazione generale di ostilità, che sta crescendo, alla politica israeliana. Questa ipotesi del falso è possibile: è una azione di falso efficace, e non è facilmente smentibile. E, benché viga sempre la prima legge della stupidità enunciata da Carlo Cipolla (Sempre ed inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione), la logica ci propone invece di pensare che sia più probabile che venga fatta una azione efficace al suo scopo che una controproducente.
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Resta, per me, il giallo, e la necessità, specie in momenti critici, di mantenere il sangue freddo e di fare inchiesta il più possibile, al di là delle indicazioni non sufficientemente analitiche, e tendenti a creare casi e clamore, dei principali giornali. E il dato di fatto inquietante: una notizia dubbia, data per certa mille volte sarà, nella coscienza dei più, una verità. Chissà di quante la nostra coscienza è composta. Chissà: forse la nostra coscienza è sempre più intessuta di nulla "mediatico".
Resta comunque un fatto: che questo comunicato sia stato "abortito" o che sia falso, si tratta comunque di un "comunicato fantasma". E nei media, viene indicato invece come un fatto. E diviene un pretesto gonfiato per dichiarazioni e azioni pubbliche dimostrative di esponenti delle istituzioni. Perchè, se davvero fosse un fatto, non è partita invece nessuna legittima denuncia per istigazione al razzismo?
Guido Aragona (tratto da http://bizblog.splinder.com/post/19540951/Il+giallo+del+comunicato+Flaic )
Rispondere non è facile soprattutto per l’Italia, dove una recente indagine condotta dall’Ordine Nazionale degli Psicologi in collaborazione con gli Istituti Regionali per la Ricerca Educativa (a disposizione, per sintesi, di chiunque la richieda carlo.gambescia@gmail.com ), rivela come tuttora manchi una legge per regolare la figura dello psicologo scolastico. Per contro, come mostrano i dati nazionali sull’uso di psicofarmaci, sembra che un italiano su due, ormai vi ricorra abitualmente. Come del resto, pare esista una tendenza ben delineata, di derivazione culturale statunitense, alla somministrazione massiccia di psicofarmaci ai bambini particolarmente vivaci. Per “sedarli”, spesso si legge, e far loro condurre un vita normale…
Il che indica che si preferisce, almeno negli Stati Uniti, alle indagini sulle ragioni del malessere psichico, al lavoro come scuola, svolte dallo psicologo, la somministrazione autoritaria a scopo lenitivo di psicofarmaci da parte di medici e psichiatri.
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La società del rischio
Ma procediamo per ordine. Abbiamo parlato di società del rischio. Perciò dobbiamo definirla.
Oggi l’uomo vive male: incertezza, angoscia e paura segnano la sua condizione in tutti i campi. Sul terreno economico (insicurezza del posto di lavoro), sociale (apprensioni diffuse per l’ incolumità fisica e la protezione dei beni posseduti ), politico ( timori di guerre e attentati terroristici), scientifico (diffidenza verso l’ambiguo linguaggio degli scienziati) e ambientale (paura di catastrofi ecologiche, provocate dall’ intensivo sfruttamento tecnologico della natura).
Alcuni studiosi hanno definito la nostra società come “società del rischio”. Se la società del tardo XIX secolo, o della seconda metà del XX, era una società della sicurezza, basata su alcuni punti fermi (valori borghesi, crescita economica, welfare), Quella del XXI è una società dell’ “insicurezza”, priva di valori stabili.
Ma c’è dell’altro: la società del rischio ha generato individui vulnerabili: uomini, donne, ragazzi, adolescenti e perfino bambini con una particolare disposizione ad essere moralmente feriti, incapaci di difendersi e reagire, e quindi bisognosi di aiuto. Il confuso groviglio di paure sociali ha prodotto personalità deboli: individui, così oppressi dalla vita (o comunque che si ritengono tali), da rifugiarsi in un mondo privato, fatto di microcertezze (piccole abitudini quotidiane: vedere un film, andare a cena al ristorante, fare shopping, un piccolo viaggio, eccetera): un universo privatissimo, dove, come ripete il megafono consumista, si può gode di una vera libertà. Un micromondo “inaccessibile”, allo spaventoso mondo delle “macroincertezze” , di cui si ha ogni giorno eco: basta accendere la televisione e seguire uno dei tanto programmi informativi “urlati”.
Di qui, per vivere in sintonia con una società mediatizzata che sottopone l’individuo a dosi massicce di consumismo e paura, la possibilità di rispondere in due modi: o attraverso l’abuso di psicofarmaci, o, come si dovrebbe, soprattutto per i giovani in età scolare, dove spesso il malessere individuale sfocia in atti di bullismo e/o autolesionistici, con il ricorso al terapeuta. Ma come ricorrervi - ecco il punto della questione - se a scuola non esistono presidi di tipo istituzionale?
E qui ritorniamo alla situazione italiana. E ai dati, molto negativi, della Ricerca svolta in argomento dall’ dall’Ordine Nazionale degli Psicologi in collaborazione con gli Istituti Regionali per la Ricerca Educativa (I.R.R.E.).
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La situazione italiana
In Italia 65.000 psicologi esercitano la professione. Bene, secondo la ricerca la presenza di psicologi scolastici nel sistema educativo italiano è pari a zero. Siamo davanti a una situazione dove a scuola il ruolo dello psicologo non è riconosciuto, non è istituzionalizzato. E dove le attività dello psicologo, sono svolte senza alcuna continuità strutturale. In pratica, l’Italia è l’unico Paese europeo che non ha tuttora attivato nelle scuole un servizio permanente di psicologia.
I psicologi presenti nelle scuole, a titolo occasionale, sono 1.500. E in ogni caso se ne possono stimare non più di 3.000, pari a meno del 5% dei professionisti psicologi che operano in Italia. Un quadro veramente preoccupante.
Psicologi, che potrebbero essere impiegati in numerosi campi. Citiamo dalla Ricerca, riprendendone la terminologia tecnica: si pensi al potenziamento dell’efficacia ed efficienza delle attività formative e didattiche erogate dal sistema regionale scolastico; allo sviluppo organizzativo e della qualità delle condizioni di lavoro e comunitarie entro le istituzioni scolastiche; allo sviluppo dei rapporti scuola-famiglia; alla crescita virtuosa delle relazioni di rete interne al sistema scolastico regionale e tra questo e i soggetti istituzionali e della società civile regionale; alla promozione del benessere psicosociale dell’utenza scolastica e del personale operante entro il sistema scolastico regionale; alla prevenzione primaria e secondaria dei fenomeni di insuccesso formativo, di abbandono, di dispersione, di bullismo, vandalismo; alla prevenzione primaria e secondaria del disagio giovanile e delle forme comportamentali e simboliche attraverso cui si manifesta (stili di vita e comportamenti a rischio, modelli devianti di azione sociale).
Pericoli: dalla società del rischio alla” società terapizzata”
Esiste pertanto un problema di introduzione, istituzionale, e per così dire fisiologica, della figura dello psicologo all’interno del sistema scolastico.
Esiste però anche il rischio opposto. Quello di eccedere in chiave patologica: di peccare per eccesso. Certo, la realtà italiana è ancora lontana da quella americana, dove lo psicologo è molto presente, forse troppo. Anzi, dove addirittura, come alcuni temono - si pensi a certi corrosivi scritti di Christopher Lasch - si rischia la “terapizzazione” totale della società e degli individui, fin da piccoli.
Parliamo del rischio che lo psicologo assuma il ruolo di una specie di soffocante Super Ego, rivolto a seguire passo passo l’individuo, nel quadro delle talvolta tentacolari istituzioni welfariste, consigliandolo, condizionandolo, eccetera, anche negli aspetti più intimi della sua vita sociale: dal sesso, alla famiglia, all’educazione dei figli.
Ma non è questa sicuramente, ripetiamo, la situazione italiana. Comunque sia, si tratta di un pericolo da tenere nel dovuto conto.
La scelta italiana
Per tornare all’Italia, si avverte invece la necessità, come mostra la Ricerca, di un “servizio di psicologia scolastica” - anche qui citiamo - fondato su alcune funzioni riferite alle seguenti “tipologie di attività realizzate in collegamento e collaborazione, fatte salve le rispettive competenze ed autonomie, con altri servizi territoriali, con le Università e le società scientifiche di settore, le strutture e gli uffici del sistema scolastico regionale, le parti interessate: elaborazione di modelli interpretativi, strategie, metodologie e strumenti di intervento (anche attraverso specifiche forme di sperimentazione) nei diversi ambiti di interesse (didattica, organizzazione scolastica, relazioni intra ed interistituzionali)”.
Si tratta insomma di un intervento capace anche di emendarsi nel tempo, evitando così derive eccessivamente “terapizzanti” di tipo americano.
Nella Ricerca si accenna in particolare ai seguenti punti: “a) monitoraggio e analisi quali-quantitativa dei processi e delle dimensioni psicologiche intervenenti come fattori critici o di successo nell’erogazione dei servizi offerti dalle istituzioni scolastiche e nei processi di insegnamento-apprendimento; b)rilevazione della domanda formativa rivolta al sistema scolastico regionale; c)progettazione e realizzazione di iniziative formative rivolte al personale scolastico e agli altri soggetti implicati nel sistema scolastico regionale; d)partecipazione alla progettazione e/o alla valutazione di interventi e sperimentazioni relative ai diversi ambiti di competenza precedentemente richiamati; e) realizzazione di attività finalizzate ad orientare la domanda di competenze ed interventi psicologici delle istituzioni scolastiche”.
Come si può vedere, ripetiamo, siamo davanti a una proposta ampia e organica, alla quale Governo e Parlamento devono dare una riposta politica e legislativa.
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Conclusioni. La ricerca di una terza via
Adriano Segatori, psichiatra-psicoterapeuta, in una bellissima intervista (Dove va l’anima?, a cura di Angela Deganis, Edizioni Settimo Sigillo 2007) ha ricordato la presenza nell’universo della ricerca psicologica teorica e applicata, ma anche nella sua pratica, di due fondamentalismi “apparentemente opposti ma proceduralmente affini”.
Da un lato il modello “cerebroiatrico” volto alla ricerca del “funzionamento minuzioso del cervello … con l’obiettivo di intervenire farmacologicamente per la rapida manutenzione dello stesso, la regolarizzazione dei comportamenti e la rapida rimessa in funzionamento sociale del soggetto interessato”. Dall’altro lato, il procedimento socioiatrico che sottostima e squalifica qualunque necessità di intervento psicologico puntando sulla demagogica rivendicazione di diritti, di libertà di decisione…, senza alcuna sensibilità per i fattori inconsci, le dinamiche psicologiche intrafamiliari, gli stili comunicativi interpersonali”. I primi sono affetti da “panmaterialismo metafisico”, i secondi da “pansociologico meccanicismo”.
Ecco, una buona psicologia sociale, anche estesa al campo scolastico, dovrebbe tenere presente questi due limiti, così ben individuati da Adriano Segatori.
Il che può non essere facile. Soprattutto nel mondo di oggi dove l’individuo pare chiedere al tempo stesso il massimo della libertà e il massimo della protezione dalla società del rischio.
Ma bisogna provare. Occorre, come indica chiaramente la Ricerca qui ricordata, una terza via. E soprattutto coraggio politico.
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venerdì 9 gennaio 2009
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