venerdì 28 novembre 2008

Post di Carlo Gambescia e Kelebek
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Le tre anime della sinistra
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di Carlo Gambescia
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Prendendo come punto di riferimento il 1977, possiamo suddividere la sinistra italiana in tre anime.
All’epoca da una parte vi erano i riformisti (in senso classico, con propensioni socialdemocratiche, ma largamente minoritari) e dall’altra i rivoluzionari (sempre in senso classico, anch’essi minoritari). E in mezzo una zona grigia, maggioritaria, né rivoluzionaria né riformista, diciamo continuista: nel senso di un politica rivolta alla costruzione del socialismo, attraverso una via italiana, capace di coniugare riforme e rivoluzione. All’estrema destra dei riformisti, il Psi di Craxi. All’estrema sinistra, i cosiddetti gruppi più radicali e movimentisti, come l’area dell’autonomia, che definiamo leninisti, per semplificare.
Ora, che cosa è successo alle tre anime negli ultimi trent’anni?
I riformisti sono stati risucchiati dal riformismo liberale ( e in questo senso la sfida degli anni Ottanta è stata vinta post mortem da Craxi). Quella che era l’anima amendoliana del Pci oggi è rappresentata da Fassino, D’Alema, Veltroni, pur con sfumature diverse (più comportamentali che ideologiche). Anche perché questi leader si muovono tutti nell’alveo di una visione della politica fondata più sulla promozione collettiva dei diritti civili che di quelli sociali. Nonché di un sostanziale atlantismo in politica estera, al quale si affianca il liberismo (certo non estremo) in politica economica.
I continuisti (quelli che come Berlinguer, ispirandosi alla tradizione togliattiana, aspiravano a coniugare riforme e rivoluzione), sono rappresentati dall’area a sinistra del Pd, quella fortemente penalizzata alle ultime elezioni. Si tratta di un universo politico, “in grigio”, ancora oggi sospeso tra governo e lotte sociali (emblematiche, ad esempio, le due figure opposte di Vendola e Ferrero… ). Ma in realtà indeciso su tutto. Un universo che, al tempo stesso, rifiuta il riformismo liberale ma teme la rivoluzione, perché si professa non violenta. E che in pratica vive alla giornata. Trovando, di volta in volta, punti di contatto con i riformisti sul problema dei diritti civili. Ma non su quello della politica estera ed economica.
I rivoluzionari, sono oggi rappresentati dai movimenti. Per usare un immagine - suggestiva ma imprecisa - si tratta di gruppi politici sospesi tra Lenin, Gino Strada. Tra la lotta sociale a sfondo antiatlantista e antiliberista e l’irenismo eroico, ma impolitico, del soccorso sociale ai popoli di tutto il mondo. In quest’ultimo senso si può parlare di rivoluzionarismo come tendenza a risolvere i problemi politici attraverso rivoluzioni sociali, o più spesso manifestando, in buona fede, propositi rivoluzionari. Senza valutare l’eventuale prezzo da pagare.
Dal punto di vista della chiarificazione ideologica sperare in un’ evoluzione dell’intera sinistra in senso socialdemocratico è ormai praticamente impossibile. Dal momento che le socialdemocrazie europee si sono da tempo trasformate in partiti liberalriformisti (si pensi all’involuzione della socialdemocrazia tedesca). Mancano quindi referenti ideologici, alleati e appoggi concreti. Purtroppo, la fase socialdemocratica è stata a suo tempo saltata (per ragioni sulle quali sarebbe troppo lungo soffermarsi). E ormai tornare indietro è impossibile. Il treno è passato. E ora la sinistra - ripetiamo, piaccia o meno - può salire solo su quello del riformismo liberale. Restano il continuismo e il rivoluzionarismo, tra i quali neppure scorre buon sangue. Ma anche per essi è difficile immaginare una evoluzione positiva.
Il continuismo è ancora troppo legato a ritualismi sindacali e patti ed alleanze (spesso sul piano locale) difficilmente rescindibili in modo indolore, soprattutto sotto il profilo della possibile perdita di risorse economiche, e dunque di potere.
Il rivoluzionarismo, se dovesse optare definitivamente, semplificando, per Gino Strada, non avrebbe più alcuna speranza. Non potrebbe che restare decisamente impolitico. Ma anche l’opzione leninista, in circostanze storiche molto diverse da quelle della Russia zarista, potrebbe essere assai pericolosa per la democrazia. Inoltre la pregiudiziale antifascista, certo storicamente giustificata, che anima i seguaci sia di Lenin che di Strada, impedisce ai rivoluzionari di intercettare importanti fasce di emarginazione sociale e politica.
Inoltre, come conciliare la fuoriuscita dalla Nato con il pacifismo? Gli Stati Uniti porrebbero l’Italia, una volta fuori della Nato, sullo stesso piano di uno “stato canaglia”. Di lì la necessità di battersi, o comunque di dover trovare, nel probabile isolamento europeo, altri alleati, tra paesi invisi agli Stati Uniti, oppure rischiare di trasformarsi in stato-vassallo di eventuali alleati (ma quali? La Russia di Putin, amica di Berlusconi?). Insomma, le cose sono molto più complicate di quanto ritengano, certo in buona fede, i rivoluzionari..
A meno che, come talvolta capita nella storia, la situazione economica, già compromessa, precipiti rimettendo in gioco tutto…
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Carlo Gambescia

2 commenti:

Guido A ha detto...

L'Italia è comunque un paese originale, anche in politica.
In Italia non ebbe modo di svilupparsi ampiamente, allo stesso modo di altri paesi europei, nè un liberismo di destra, nè una socialdemocrazia.

L'anima principale, per riferirmi al tema, della sinistra italiana nel dopoguerra fu rappresentata dal PCI. Altre componenti (socialdemocrazia classica, "liberalsocialismo") rimasero al margine, spesso più appannaggio di intellettuali che di masse.
Il PCI, nonostante un assetto tendente alla ortodossia marxiana, era piuttosto originale come partito comunista. E del resto, il riferimento al magmatico Gramsci dei quaderni lo poneva già come eterodosso.
Fino a Berlinguer l'iter è stato sviluppato in modo organico (e comunque, il partito di Berlinguer era socialdemocratico, anche se anche in quello "sui generis": il "partito" in quanto tale ad es. era organizzato in modo leninista).
Dopo, fu più difficile.
Sia D'Alema che Veltroni non seppero indicare in modo efficace la rotta per la "via italiana al socialismo". In particolare Veltroni ha proposto di fatto una omogeneizzazione con la sinistra americana, che in Italia non ha nè capo nè coda.
Sono emerse invece con più forza egemonica componenti originate dal "liberal-socialismo".
Forza egemonica, non forza elettorale o politica in genere.
Il risultato è una totale mancanza, attualmente, di prospettive convincenti.

CONTRAGORA' . IL CROCEVIA DELLE IDEE: CULTURA, POLITICA, SOCIETA', COMUNITA', ECONOMIA. ha detto...

Benvenuto Guido! E grazie dell'interessante contributo.
Carlo Gambescia