venerdì 19 dicembre 2008

Il mito tra esemplarismo e strumentalizzazione
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di Valter Binaghi
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Scrive Bronislaw Malinowski, in uno dei testi più importanti sul mito(1):
“Il mito in una società primitiva, vale a dire nella sua originale forma viva non è semplicemente la narrazione di un racconto, bensì è una realtà vissuta. Esso non è di quel genere di racconti inventati che noi ritroviamo nei nostri romanzi, bensì una viva realtà che si crede accaduta nei tempi primordiali e da allora continui ad influire incessantemente sul mondo e sul destino degli uomini”.
Il mito è quindi più un modello per l’azione odierna che un suo precedente illustre: esso dà forma alla vita sociale e rituale e conferisce la sua fisionomia a una rappresentazione condivisa del mondo: in questo senso si può parlare di esemplarismo, come carattere riassuntivo del mito, e se ne può intuire la potenza coesiva e socialmente fondante.
Ora, proprio la decadenza dell’ordine sociale nell’anarchia e di una visione condivisa nel relativismo, suggerisce agli autoritari di tutti i tempi la scorciatoia di un ripristino puro e semplice della mitologia delle origini, anche se il contesto è ormai quello di una miscredenza diffusa e soprattutto di un razionalismo esangue. L’utilizzo strumentale del mito, il suo impiego ideologico in chiave persuasiva o coercitiva nelle recenti sventurate vicende del totalitarismo del XX secolo è troppo evidente perchè se ne debba dar conto, ma è interessante notare che proprio studiosi del mito hanno provato ad elaborare una distinzione tra la genuina funzione mitica e quello che il grande mitologo Karol Kerenyi definiva il “mito tecnicizzato”, ossia la manipolazione del mito per scopi politici. In particolare il nostro Furio Jesi (allievo dello stesso Kerenyi ma ricercatore di spiccata originalità) ha sviluppato questa tematica nei suoi libri(2) (pochi, in verità, vista la precoce interruzione della sua vita e della sua carriera).
Ma se viene facile pensare all’utilizzo della mitologia nordica (filtrata da Wagner) nella Germania nazista o di quella romana e imperiale nell’Italia di Mussolini, sarebbe il caso di notare che non è il totalitarismo nero a detenere il monopolio del “mito tecnicizzato”. Propongo che questa espressione serva ad interpretare tutti quei casi in cui un potere (che più non rappresenta effettivamente gli orientamenti del senso comune), tenti di sopravvivere istericamente, servendosi di un mito manipolato per auto-giustificarsi. Mi viene in mente ad esempio l’ “Ora e sempre Resistenza”, con cui negli anni Settanta, ai giovani della mia generazione è stato fatto credere da un partito comunista incapace di ripensare la propria funzione storica che il fascismo era sempre il nemico in agguato a cui rispondere (in armi), mentre Pasolini ammoniva inutilmente che quel fascismo era defunto perchè il nuovo totalitarismo era quello della società dei consumi, e (in assenza di un’opposizione che fosse più che folklorica) i Craxi prima e i Berlusconi poi svendevano l’Italia alla nuova morale della Borsa Valori.
D’altro canto, la scelta delle Twin Towers come obiettivo di un attacco terroristico, risponde fin troppo chiaramente all’intenzione di manipolare un mito: quello della torre di Babele, rovina dei superbi ad opera della mano santa di Dio (o di chi se ne ritiene l’esecutore).
Oppure, meno attuali e meno polemici, potremmo riferirci a fenomeni già studiati dall’etnologia, quali i “cargo-cult” (l’interpretazione millenaristica del colonialismo europeo da parte di certe classi dirigenti indigene), per non parlare dell’utilizzo di una mitologia apocalittica assetata di quotidiano sangue sacrificale, con cui la leadership azteca all’epoca di Montezuma soggiogava i popoli sottomessi, offrendo ai conquistadores l’orrendo spettacolo che ai loro occhi ne legittimava la distruzione.
Se non temessimo con questo di aggiungere troppa carne al fuoco, forse sarebbe il momento di esaminare certe interpretazioni del mondo mitico che ne fanno lo scenario della pura e semplice violenza sacrificale(3), e chiedersi se quanto attribuiscono al mito tout court sia in realtà da imputarsi ai suoi aspetti degenerati, o meglio all’eclisse della sapienza che n tempo ne forniva il contesto interpretativo. Come ha mostrato chiaramente Eric Voegelin (4) (il confronto col suo pensiero è ineludibile quando si tratta dei simboli della politica), quando il senso comune è corrotto da un materialismo miope e meschino, non si sa più distinguere l’autorevolezza del politico dalla seduzione del demagogo, e il caporale sanguinario che il borghese ottocentesco avrebbe ridicolizzato viene acclamato come il salvatore della patria.
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Valter Binaghi
(tratto da http://valterbinaghi.wordpress.com/2008/12/18/narrazione-e-verita7-il-mito-tra-esemplarismo-e-strumentalizzazione-di-v-binaghi/ )

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1) Il mito nella psicologia primitiva, (Newton Compton).

2) Ad esempio Mito (ISEDI), pagg. 105 e segg.

3) Mi riferisco naturalmente a René Girard, ad esempio in “La violenza e il sacro” (Adelphi). L’antropologia mimetica di Girard è secondo me degna della massima attenzione, ma il suo riferimento al mondo del mito manca dei necessari fondamenti etnologici. Come spesso accade ai filosofi, l’ingegno è penetrante ma il campione esaminato è insufficiente e la sua interpretazione del mito risulta gravemente unilaterale.

4) Hitler e i tedeschi, Edizioni Medusa.

2 commenti:

Paolo ha detto...

Complimenti! Molto interessante il tema del Mito.

Saluti
Paolo

Truman ha detto...

Credo valga la pena di aggiungere che oggi, come in tutte le epoche, siamo immersi nei miti, al punto che solitamente non li notiamo.

La pubblicità ci ripete incessantemente che con l'ultimo ritrovato tecnologico potremo fare cose impensate ed impensabili prima. Ad esempio con un navigatore satellitare ci possiamo muovere con disinvoltura in ambienti nuovi. E' il mito del superuomo (o oltreuomo) di Nietzsche rielaborato a fini commerciali. Lo stesso mito viene sfruttato per vendere tecnologie mediche.

Tutti si riempiono poi la bocca di scienza, l'unica forma di sapere che fornisca una conoscenza degna. Eppure dietro la scienza c'è sempre il mito propulsore di Prometeo che rubò il fuoco agli dei. Anche qui c'è l'uomo che aspira a migliorare la sua posizione nel mondo.

Ma dietro la scienza c'è anche il mito del progresso, che a sua volta è la rielaborazione di miti cristiani.