giovedì 11 dicembre 2008


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Politica economica?


No, cialtroneria al potere
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di Barbara (Cloroaclero)

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Un articolo del 9 dicembre su Aprileonline si apre con le seguenti parole:

“Le notizie che vengono dal settore auto negli Usa dimostrano che la crisi economica da altre parti è presa molto sul serio, mentre in Italia quando qualcuno ha parlato di fare entrare la mano pubblica nel settore auto in crisi è stato preso per matto; quando altri hanno parlato dell’esigenza di dare una regola alla dinamica dei redditi sono stati derisi; quando si è parlato di regole per il settore finanziario siamo arrivati alla depenalizzazione del falso in bilancio”.

L’articolo prosegue poi parlando dell’eterna crisi del gruppo Fiat, che nel settore automobilistico in Italia detiene il monopolio. Da decenni la Fiat, in termini di cassa integrazione dei lavoratori, succhia allo stato centinaia di milioni di euro all’anno a fondo perduto, laddove nessuno (dei governi degli ultimi 30 anni in Italia) ha mai osato parlare piu’ di Partecipazione Pubblica.
In altri termini: Lo stato italiano ha erogato a Fiat capitali spaventosamente ingenti ma non ha mai preteso (nè pensato, nè discusso, nè proposto) una partecipazione dello stato all’azionariato FIAT. Quest’idea delle partecipazioni statali è divenuta un tabu’ economico ancora prima dei
trattati di Maastricht che, se da un lato assegnavano agli stati ruoli politici piu’ “moderni” e precisi (sicurezza dei cittadini e moneta unica) dall’altro lato aborrivano le partecipazioni statali come possibilità di uscita dalle crisi aziendali che attanagliavano le nazioni, spesso prevedendo multe salatissime ai paesi che vi facevano ricorso.
Le intenzioni politiche dei trattati di Maastricht, tese a rendere piu’ stringenti le privatizzazioni delle aziende e rendere sempre piu’ debole il ruolo statale nella vita economica del paese, furono concretizzate, piu avanti, dalla
direttiva Bolkestein (2004. Per l’Italia c’era Prodi) che, come leggiamo su wikipedia aveva le seguenti intenzioni:

“La direttiva Bolkestein ha quindi come obiettivo di facilitare la circolazione di servizi all’interno dell’Unione Europea, perché i servizi rappresentano il 70% dell’occupazione in Europa, e la loro liberalizzazione, a detta di numerosi economisti, aumenterebbe l’occupazione ed il PIL dell’Unione Europea. La direttiva Bolkestein si inserisce nello sforzo generale di far crescere competitività e dinamismo in Europa per rispettare i criteri della Strategia di Lisbona. Inoltre la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei prestatori di servizi sono importanti diritti dei cittadini europei, e sono alcune delle libertà economiche principali presenti già nel Trattato di Roma del 1957.”

Detto in parole povere: poichè i servizi pubblici impegnavano il 70% dei PIL dei vari paesi, bisognava procedere alla privatizzazione di detti servizi, per aumentare il “liberismo economico” delle imprese che, appropriandosi di una parte del PIL e reinvestendolo (in una logica di profitto) avrebbe complessivamente arricchito la società.
Tale direttiva, cioè, mirava allo smantellamento di cio’ che era rimasto dello stato sociale, nella previsione, rivelatasi stupidamente ottimistica (perchè falsa) che le logiche di mercato (con speculazioni finanziarie correlate) avrebbero prevalso, arricchendo la società occidentale. Con tali premesse, in Italia, una classe politica di squali avrebbe agito conseguentemente al detto “piatto ricco mi ci ficco”.
E così s’è fatto: I governi successivi, con piu’ o meno fretta, sia fossero di sinistra che di destra, hano seguito queste direttive, guidati da quell’elite che potremmo chiamare “confindustria internazionale” che ha privatizzato tutto il privatizzabile (giusto scuole, sanità e acqua erano rimaste fuori, al che hanno provveduto i governi attuali), abbassando il costo del lavoro (anche con l’accoglienza massiccia di immigrati che hanno abbassato, facendo massa, il potere contrattuale del ceto operaio) e, con la complicità di sindacalisti corrotti, annientando progressivamente i diritti e rendendo il lavoro “precario” per definizione.
Tutto cio’ nella fatua speranza (spacciata) che il rafforzamento di quest’entità divinizzata “il mercato” potesse migliorare le condizioni di vita di tutti. Una convinzione che era una chimera contraddittoria alla base: “peggiorando la vita, si migliorerà la vita“. Invece il risultato è stato che si è reso mutilato il pensiero del futuro lavorativo, specialmente per le giovani generazioni che si trovano a fare i conti, per esempio, con una dequalificazione decisiva della scuola pubblica.
L’inserimento poi di grandi masse di famiglie di lavoratori stranieri (extracomunitari o no) nel mercato del lavoro italiano ha generato una serie di paradossi tale da rendere impossibile ogni forma di lotta di classe.Se è vero infatti che un partito come la lega coltiva l’intolleranza per lo “straniero” è anche vero che non si mette in discussione il sistema che è stato creato. La maggior parte degli stranieri pervenuti in Italia, da contesti come la Romania, il Maghreb, il Pakistan, la Cina o l’Africa, in Italia ha trovato una collocazione lavorativa ed esistenziale molto migliore dei paesi di provenienza: inseriti nel ceto operaio, artigiano, commerciale o impiegatizio, spesso acquisendo la cittadinanza o facendola acquisire ai loro figli.
Abituati a contesti sociopolitici improponibili, hanno accettato di lavorare in nero, fare sacrifici impensabili per gli italiani di oggi, portando concorrenza sul piano del lavoro e facendo, piu’ degli italiani che dopo decenni di lotte e conquiste tenevano il culo al caldo pensando che i diritti fossero davvero inalienabili, gli interessi del capitale.
Questo nonostante la presenza di un partito vuoto di contenuti, clientelare, opportunista e razzista come la lega, che, nei fatti, assume il ruolo di convogliare e congelare il dissenso politico delle classi inferiori (anche culturalmente) .
Tornando al discorso iniziale: oggi la crisi finanziaria ha smascherato tutti i punti di debolezza del sistema capitalistico, che per approvvigionarsi a basso costo delle materie prime, procaccia a se stesso “zone di influenza” e “vacche da mungere” col pretesto di “guerre al terrorismo internazionale” nel quadro del rafforzamento dell’impero. Le guerre sono anche ottimi investimenti per “eccedenze di capitale” e per “New Deals” incentrati sulla siderurgia e l’industria pesante in genere, che con le conversioni belliche ha sempre fatto buoni affari.
Ma noi vogliamo essere, come dice il premier, “ottimisti”. Sempre su
“aprileonline” leggiamo:

“Le guerre sembrano non essere più considerate il volano dell’economia, costano moltissimo e per di più è difficile vincerle anche con gli straordinari mezzi a disposizione.La distruzione di risorse causata dalle guerre è incompatibile con un clima sociale accettabile e poiché oggi la priorità sembra essere garantire interventi verso le aree sociali più esposte alla crisi è evidente che occorre cambiare.”

Questa sembra essere la speranza piu’ alta portata dalla gestione Obama della politica statunitense. Solo che, mentre Obama dovendo affrontare una crisi finanziaria nata proprio dalle banche di investimento americane considera positivamente le partecipazioni statali, per esempio allo scopo di arginare il fallimento dell’industria automobilistica USA attraverso lo stato che diviene azionista per il 50% con un commissario che, come all’epoca di Roosvelt, controlli ogni singolo centesimo dei pubblici investimenti, in Italia prevale l’inazione del settore pubblico, con un ministro del’economia (imbelle) che sollecita i cittadini a comprare BOT ma che nei fatti non ha la minima idea di nazionalizzare alcunchè, destinando, a fondo pressochè perduto, ingenti capitali pubblici a banche prossime al fallimento, come si evidenzia chiaramente dal “pacchetto Tremonti” che, secondo Berlusconi, “è il massimo che questo governo ha potuto fare”.
Insomma, mi vien da dire “aridatece
l’IRI” il cui concetto, scevro da una politica degna dei peggior squali, accompagnata da un serio progetto di revisione del capitalismo, potrebbe ancora mostrare la sua validità.
Chiudo, facendo mie le considerazioni, sempre lette su
APrileonline, che spingono ad una seria riflessione su questa “sinistra” che all’ottusità della destra, risponde con altrettanta ottusità:

“Il problema è l’area politica del vecchio centro sinistra. Per ora non saprei chiamarla diversamente. Ritorna di attualità il terreno culturale e politico tipico di chi si candida come alternativa di governo alla destra: quello di un diverso ruolo dell’intervento pubblico (qualunque sia il livello a cui avviene) e di un disegno di economia e di società da perseguire. Per via democratica - ovviamente - per essere chiari. La litania delle regole e delle Autorità non basta più, come è evidente. Sono anche utili, ma non bastano. Occorre un progetto di società, di economia, di convivenza e il ruolo pubblico è decisivo per provare a realizzarlo e lo si può fare con divieti, ad esempio verso certi prodotti finanziari, e con incentivi a sostegno di iniziative precise.Altrimenti si finirà come la BCE che ha allargato i cordoni del credito quando la crisi ormai era arrivata, o il Governo italiano che consente un rapporto incestuoso tra banche e imprese in piena crisi finanziaria, quando dopo il 1929 questo era considerato giustamente un tabù.”
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Cloroalclero
(tratto da http://www.cloroalclero.com/?p=438#more-438 )

1 commento:

CONTRAGORA' . IL CROCEVIA DELLE IDEE: CULTURA, POLITICA, SOCIETA', COMUNITA', ECONOMIA. ha detto...

Un'adesione totale e incondizionata alla mia mangiapreti preferita.
Aggiungerei che il nuovo settore d'intervento pubblico (in alternativa agli aiuti ad imprese cronicamente clientelari come la FIAT) dovrebbe essere orientato alla riconversione energetica, allo sviluppo di tecnologie alternative. Un settore che potrebbe vedere proficuamente l'impegno comune dell'Europa. Ma da cui il nostro governo di centro destra ha già pesantemente preso le distanze. Infine: questo sarebbe il momento di spiegare agli Occidentali (USA in testa) che i consumi degli ultimi cinquant'anni ce li possiamo scordare, e che pretendere di riproporli come obiettivo è pura stupidità, come è pura stupidità sindacale quella di difendere gli attuali assetti occupazionali, senza pensare a strategie di riconversione.
Riprendere i testi di Illich di trent'anni fa e farne la piattaforma per una politica che le attuali categorie di destra e sinistra sono incapaci di interpretare.

Valter Binaghi