venerdì 5 dicembre 2008

POST DI BINAGHI E VACCA
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Mitologie del padre
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di Valter Binaghi
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Già nel XVI secolo il filosofo inglese Francis Bacon definiva “idoli del foro” quei pensieri impliciti, quelle rappresentazioni del mondo che si trovano nascoste nelle parole che usiamo. Crediamo di usarle, e ne siamo piuttosto usati, condizionati a veicolare opinioni e pregiudizi che esse stesse ci trasmettono. Tra i filosofi del linguaggio contemporanei, nessuno come George Lakoff ha saputo esporre brillantemente il carattere pragmatico delle metafore di cui è disseminato il linguaggio quotidiano, associazioni verbali che cuciscono immagini potenti, capaci di orientare il pensiero a vere e proprie mitologie. Pensate ad esempio a quanti comportamenti dell’uomo contemporaneo sono orientati dalla metafora “il tempo è denaro”: il tempo diventa per noi qualcosa che si risparmia, si spende, si spreca, fino all’oscena tirannia del tempo libero (libero da che, da se stesso?) per il quale siamo disposti all’acquisto più dispendioso. A Lakoff, autore per me di grande interesse, avevo già dedicato un post e mi ha fatto piacere vedere che proprio dalle sue riflessioni prenda le mosse Girolamo De Michele per la lezione aperta tenuta a Ferrara l’11 novembre e riprodotta qui, su Carmilla.
De Michele riassume così: “La tesi di Lakoff ha uno sgradevole corollario: non è vero che la libertà rende liberi. Non è vero che se raccontiamo agli uomini e donne i fatti come essi sono realmente, nella mente dei nostri ascoltatori si accenderà la luce della ragione; non è vero, come invece credevano gli Illuministi, che la verità produce una catena di eventi al cui termine c’è l’invitabile mutamento di opinione”. Infatti il radicamento di un’associazione metaforica è tale da resistere all’argomentazione, per cui, in una certa cultura, anche dopo un’esauriente dimostrazione del carattere squisitamente psicologico del tempo come durata, il tempo tornerà ad essere trattato nel quotidiano come materialità tesaurizzabile, denaro, appunto. In un’altra, il binomio associativo terra-sangue resisterà ad ogni razionale tentativo di scorporo, con gli effetti devastanti che nessuno nel Ventunesimo secolo può ignorare.
Ed ecco la parte più politica della lezione di De Michele: “Lakoff, che ha studiato a lungo la comunicazione politica dei neo-teo-conservatori americani, ha dimostrato che dentro i loro discorsi, per quanto rozzi e a volte in apparenza comici possano apparire, si nasconde un richiamo a una metafora che chiunque è in grado di capire, perché chiunque la possiede: quella del padre severo.Il padre severo è colui che:
• protegge la famiglia in questo mondo pieno di pericoli;
• sostiene la famiglia in questo mondo difficile;
• insegna ai suoi figli a distinguere tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
L’immagine del padre severo non è politicamente neutrale: rimanda al figlio incapace, impotente, che non è in grado di farcela da solo ed ha bisogno di qualcuno che provveda al suo posto, per il suo bene”.
Per contrastare questo genere di conservatorismo e le sue tentazioni autoritarie, secondo De Michele occorreva non negarne razionalmente la validità politica (perchè l’immagine resta radicata anche in assenza del contenuto) ma opporvi un’immagine altrettanto perspicua per l’inconscio collettivo: quella del padre comprensivo: “Il padre comprensivo è colui che:
• chiede cooperazione alla famiglia, perché crede che certi problemi non possano essere risolti da una sola persona;
• responsabilizza i figli a farsi carico delle proprie scelte;
• lascia i figli liberi di imparare anche dai propri sbagli.
Se ponete mente alla campagna elettorale di Barack Obama, vi accorgerete che Obama ha avuto questa capacità”.
Dopo di che l’autore passa ad analizzare il linguaggio politico della Destra di casa nostra, mostrando come l’ultima campagna elettorale si sia svolta rinfocolando nell’opinione pubblica “mitologie” ben radicate, per quanto facilmente smentibili da una disanima oggettiva dei fatti di cronaca:
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Gli zingari rapiscono i bambini.
Esiste un’emergenza criminalità nel paese.
Esiste un’emergenza-disciplina nelle nostre scuole.
Ci sono in Italia più bidelli che carabinieri.
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Ognuna di queste affermazioni è un falso clamoroso (i dati li fornisce De Michele nel testo che ho linkato), ma se avete capito il meccanismo della persuasione, è chiaro che non è questo il punto.De Michele conclude poi con affermazioni, anche condivisibili, sul carattere mistificatorio e puramente economicistico della riforma Gelmini, ma non è questo che m’interessa di più.Ciò che invece mi parrebbe importante è prendere le mosse dagli idoli del foro per alcune considerazioni sulla cultura italiana anche di sinistra, e per quello che mi pare un compito fondamentale da assegnare alla letteratura e alla ricerca letteraria.
1) La disanima di De Michele presenta una lacuna: come mai il padre comprensivo accoglie ma non difende, non protegge, non distingue, non seleziona? E’ psicologicamente pensabile una funzione paterna che non includa queste funzioni? O si tratta piuttosto di un padre castrato, il sogno sessantottino strizzato dai panni cacati di Edipo, di cui la sinistra non sa liberarsi (e per ciò stesso è incapace di sintesi, unità, selezione degli obiettivi, tutto ciò che permette di affrontare un conflitto?) E per quanto riguarda Obama, vogliamo vedere se la politica estera americana corrisponderà a questa immagine uterina e a-conflittuale, o si tratta del solito gioco democratico-repubblicano del poliziotto buono e del poliziotto cattivo, mentre la strategia imperiale non cambia da Truman in poi?
2) L’inconscio del linguaggio, come esplicitarlo? Con una psicoanalisi o sociologia della conoscenza, che rischiano di essere sempre ideologicamente irretite da metafore opposte ma complementari, o con l’arte, che porta alla luce la purezza dell’archetipo nell’immagine pura, cioè l’immagine che non finge di essere altro da ciò che è - forma - il cui unico luogo di cittadinanza è l’arte appunto (non la natura e non la storia, luogo del frammento, del rimando, della contrapposizione dialettica)? Qui, proprio qui io incontro l’elaborazione di Wu Ming1 sul New Italian Epic, anche se non sono sempre daccordo sulle incarnazioni di questa tendenza, ma trovo che in questi anni sia lo sforzo più serio per restituire al romanzo italiano la nobiltà perduta.
3) Il padre è il desolato conte Warwick di Manituana, che contempla il declino della propria civiltà ma ha abbastanza nobiltà d’animo per riconoscere l’innocenza quando la vede. Il padre è l’operaio comunista morente di Medium, il quale impone un viaggio nella memoria che è tutto il contrario di un’elaborazione paranoica del lutto, ma anzi è la condizione necessaria per avere un futuro (il padre di Genna, certo, ma anche nostro). Il padre è il viaggiatore de “La strada” di Mc Carthy, che difende la sua discendenza, a costo del sangue proprio e altrui, perchè non c’è strada senza bivio, e non c’è traguardo senza lotta. Da queste figure ricavo la perspicuità del mito paterno, che è tanto esterno alla cronaca spicciola da illuminare la Storia. Essere all’altezza di questo, essere scrittori per questo.
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1 commento:

Truman ha detto...

A volte i migliori post restano senza commenti, non perchè non siano apprezzati, ma perchè c'è poco da aggiungere o criticare. Nel caso in questione ho letto l'articolo con piacere e lo sto ancora elaborando. Eventuali commenti dettagliati in seguito.