lunedì 15 dicembre 2008

Io cospiro, tu cospiri, egli cospira….
.

di Carlo Gambescia
.
Alcuni ricorderanno che Prodi, qualche anno fa , in un’ intervista dichiarò che contro di lui era in atto un complotto ordito dai poteri forti dell'economia italiana… Quanto a Berlusconi, oggi di nuovo al governo, ciclicamente, parla di trame rosse contro la sua persona …
Ma anche in Francia, di tanto in tanto, si torna a gridare al complotto lepenista, fascista e nazista. In Spagna, la Chiesa è sospettata di chissà quali congiure anti-Zapatero. Mentre i cattolici spagnoli, reputano il Premier socialista un giocattolo nelle mani della massoneria “eterna”. Anche negli Stati Uniti non si scherza: Bush scorge complotti ovunque. Per contro, i suoi avversari, di estrema destra come di estrema sinistra, non esitano a definirlo un complice segreto di misteriosi gruppi incapucciati, volti alla conquista del mondo. E che dire del rumore politico-editoriale suscitato dal Codice da Vinci? Il libro e il film hanno indotto i diversi schieramenti (pro e contro il mystic-thriller di Brown), a elaborare complicate teorie complottiste, una più tendenziosa, e diciamolo pure, demenziale, dell’altra.
Ora, la domanda è: come mai una società formalmente democratica, illuminata e razionale, come quella occidentale, usa la teoria cospirativa come normale strumento comunicativo? Per dirla in soldoni: quanto di più irrazionale, almeno in apparenza, si possa pescare nel buco nero della psiche collettiva…
Possono essere date tre spiegazioni, probabilmente complementari.
In primo luogo, l’idea cospirativa, in quanto compiuta o totale (nel senso che la sua vaghezza la rende inconfutabile) colpisce l’immaginazione collettiva perché indica il nemico ( i comunisti, i fascisti, i massoni, eccetera). E’ un esempio classico di idea-forza. Che accresce la coesione intorno alla persona (o al gruppo sociale) vittima del presunto complotto. E per contro rafforza pure la compattezza di coloro che ne siano eventualmente ritenuti autori. La teoria cospirativa è conflittuale per eccellenza: unisce e divide a un tempo. E’ un’ arma, spesso micidiale, come mostra la sanguinosa storia del Novecento.
In secondo luogo, l’idea di complotto, ha una funzione socialmente esplicativa: rende chiaro quel che a prima vista appare incomprensibile e rassicura, scoprendo le eventuali colpe. Basti ricordare che le interpretazioni complottistiche della rivoluzione francese, furono dovute al fatto che molti monarchici continuarono per anni a ritenere inaudito il crollo improvviso di un antico regno europeo: non credevano ai loro occhi. Cosicché l’attribuzione della caduta alle trame massoniche svolse una funzione esplicativa e, tutto sommato, di rassicurazione emotiva e politica nei riguardi del mondo aristocratico. Che poteva auto-assolversi e così puntare sul suo riscatto sociale e storico. Si tratta di un approccio ricorrente che si ritrova anche in altre rivoluzioni.
In terzo luogo, l’evocazione del complotto ha un “sottofondo” animistico, diremmo antropologico. L’uomo, soprattutto quello collettivo, ha un “bisogno”, quasi fisiologico, di credere che dietro ogni fenomeno sociale vi sia un principio superiore che spiega, giustifica e protegge. L’idea che un re sia tale, per ragioni di diritto divino, fa il paio con quella che un complotto sia tale, per ragioni di “provvidenzialismo” sociale. Il punto è che sia l’esistenza del diritto divino sia di un grande vecchio, appagano lo stesso bisogno antropologico di veder confermata l’idea che dietro gli eventi sociali vi sia sempre qualcuno che imprime una direzione. Insomma, che il nostro mondo (grande o piccolo che sia, dalle capanne africane ai grattacieli newyorkesi) abbia comunque senso compiuto: un ordine.
Ora, può sembrare esagerato, ricorrere a un’analisi così complicata, per spiegare ad esempio certe esternazioni di Berlusconi, Prodi o di altri politici, come si accennava all'inizio... Ma si rifletta un momento: una forza di governo (o di opposizione) di qualunque colore sia, dichiarando, a cicli alterni, di essere vittima di un complotto comunista, fascista, eccetera, dà una riposta al bisogno animistico, non solo dell’elettore ma dell’uomo che vi è sotto, affamato come ogni altro essere umano di significati "compiuti", e non importa se immaginari come l'idea di una cospirazione universale.
Il che significa che l’uomo di oggi, ritenuto presuntivamente razionale, ha radici antiche e ritorte nell'irrazionalità, difficili da recidere. Di qui il basso continuo che sembra tuttora distinguere la nostra vita sociale e politica : io cospiro, tu cospiri, egli cospira...
.

Carlo Gambescia

2 commenti:

Cloroalclero ha detto...

Ha radice nell'irrazionalità anche la brama di potere portata avanti attraverso la "guerra indiretta" . Quella che sacrifico' l'11 settembre 2001 3000 persone sull'altare dell'"America under attack"per giustificare quello che venne dopo (e pareggiare i conti con quello che c'era prima). Lo so che il "complotto è poco rassicurante. Che cozza con gli schemi di un'evoluzione graduale, democratica e "costruita per conquiste" della società che ci hanno abituato a digerire. Forse per questo che non si dicono, nei libri di storia chi sono i politici che hanno complottato e come. Se i loro complotti sono riusciti o no. E quali effetti quelli riusciti hanno avuto.
Continuare a bollare un'interpretazione "complottista di "Certi fatti" (non di tutto) come un sintomo paranoide con motivazioni psicologiche e sociologiche profonde, con relativo contraccolpo nella storiografia "ufficiale" non aiuta nè a risabilire verità nè giustizia. Ma perpetua un pregiudizio che rende cieca ogni ricerca.
Cloro

CONTRAGORA' . IL CROCEVIA DELLE IDEE: CULTURA, POLITICA, SOCIETA', COMUNITA', ECONOMIA. ha detto...

Barbara,
Io non escludo che gruppi di persone possano "complottare", eccetera... Ma mi limito a constatare empiricamente la presenza, fra gli uomini, del cosiddetto istinto delle combinazioni (per dirla con il vecchio Pareto), che implica, nel caso, due tipi di azioni sociali : “fare complotti” e “scorgere complotti”.
Sulla predominanza dell'una o dell'altra azione sociale la vediamo, probabilmente, in modo diverso. E’ una questione di “concezione del mondo”. Ma pure di come ognuno di noi concepisce il senso delle azioni umane.
Io da buon lettore di "Guerra e Pace", credo che in ultima istanza, come capita ai generali di Tolstoj, sia facile organizzare una strategia, ma difficile condurla a termine. Perché una battaglia si svolge spesso in modo casuale. il che non significa che non si possa vincerla. E lo stesso vale – credo – per i complotti: l'uomo propone, il caso dispone...
Di qui, il mio ripiegamento (che tu giudicherai una scorciatoia) sull'analisi, empiricamente più appagante, dello “scorgere complotti".
Ciao,
Carlo Gambescia