venerdì 5 dicembre 2008

LIBERILIBRI
.

Nave per fuggire dalla Città provvisoria
.
di Nicola Vacca
.
Ralph Waldo Emerson ha scritto che il poeta è una figura rappresentativa. Egli, in mezzo a uomini parziali, sta per l’uomo completo, e ci fa cogliere non la ricchezza sua, ma la ricchezza comune. Il poeta è isolato fra i suoi contemporanei dalla sua verità e dalla propria arte, ma nelle sue ricerche lo accompagna una consolazione: che esse trascineranno tutti gli uomini.
In un tempo come quello moderno, disperatamente disincantato, stretto nella morse di una crisi globale, la filosofia della poesia può recuperare il valore dello stupore e della magia. La poesia oggi è lo specchio dei tempi perché le sue verità possono negare l’aridità del pensiero utilitarista che sta spingendo le nostre esistenze nell’abisso di una recessione non solo economica, ma anche del cuore. Sergio Nave con il suo nuovo libro di versi, La città provvisoria (Book editore, pagine 144, 12 euro), ha voglia di parlare al proprio tempo. Il poeta ligure in una serie di singolari e intensi poemetti mette in scena l’umana inquietudine e la precarietà. Nave dà concretamente forma al pensiero turbato dalla ricerca del senso della vita. Nella sua poesia cerca l’uomo che ogni giorno si perde <>>. Entra nel cuore pulsante del dramma della <>> dove la vita è un rumore molesto perché gli uomini si lasciano ingannare dalle apparenze della propria epoca.<<La notte dello spirito è dovunque/e in nessun luogo, addirittura/ forse non c’è se non la chiama/una voce fuggita dallo schema./Fischi di treno ricchi/d’avvisi del destino. Qualcuno/potrà mai liberarmi/dalle mani dei malvagi/me maledetto che confidai nell’uomo? E passa un uomo, mite all’apparenza>>.
Il tempo della città provvisoria è scandito dal mondo governato dalle leggi della materia, impoverito dall’assenza della Bellezza.
Sergio Nave, come giustamente scrive nella prefazione Vincenzo Guarracino, racconta questo tempo dell’esilio, della perdita e della povertà. La sua parola turberà il lettore fino allo spaesamento. Nella sua poesia si riesce ad avvertire la vertigine della crisi che disarma le coscienze.
Per uscire da questa notte profonda dello spirito il poeta avverte l’urgenza di scavare a mani nude nelle nostre disillusione e toccare il fondo delle cose. Perché nell’amarezza di questo scavo possiamo riscoprire il senso sacro di un fare anima, le certezze di un’interiorità che ci metterebbero in contatto con la Bellezza che noi abbiamo deriso, tradito, calpestato. <<Da dove nacque questa sua povertà, /da uno sbaglio di semi, da un raggio vitale/persosi per strada, dall’inizio di un sogno/incompiuto di creazione caduto su acerba primavera,/era stato uno scherzo, un’amicizia una prova?/Lunghe passavano le sette settimane./Quel che era certo è che non moriva/per estrema vecchiezza o malattia, /ma per la scortesia del mondo>>.
Con una grande fede nella parola Nave denuncia il degrado e la miseria della storia, avverte il pericolo incombente dell’effimero nel quale noi uomini dallo sguardo vuoto ci lasciamo tentare per una perversa comodità di pensiero.
La povertà del nostro mondo è tutta nella scortesia di questa città provvisoria dove gli uomini sono abituati a parlare troppo con se stessi, senza preoccuparsi di mettersi in ascolto degli altri. Tra le sue mura si vive sospesi tra l’essere e il cadere la propria condizione ignobile e inopportuna di esseri senza qualità che non vedono nessuna difesa al buio che avanza.
Il poeta mette in fila le parole per dare un’anima al vuoto reale nel quale si inabissa il mondo presente, che inspiegabilmente si chiude al coraggio di vivere e di peccare. La città provvisoria è la straordinaria metafora della civiltà stanca che muore perché "soffoca la saggezza in un abbraccio d'eutanasia".
.
Nicola Vacca

Nessun commento: